Il nostro progetto “Giocare, imparare, crescere”, ha compiuto tre mesi. Abbiamo accolto, in questo tempo trascorso insieme, tanti bambini, adolescenti, giovani. Ma anche molti adulti. Grazie alle attività portate avanti, tra distanziamento fisico e vicinanza affettiva, abbiamo potuto conoscere ancora meglio la resilienza (nonostante tutto!) delle persone che abitano il nostro territorio e la nostra città.

Abbiamo potuto toccare con mano quanto la pandemia sia stata la causa di un devastante aggravamento della realtà socioeconomica di chi già versava in condizioni di svantaggio. Ma non solo. Anche persone che, prima, riuscivano facilmente a sbarcare il lunario, stanno adesso vivendo una realtà devastante. Oltre alle difficoltà oggettive, queste persone sono esposte alla vergogna e al senso di colpa indotti da questa società.

Una società che interpreta la povertà e le difficoltà economiche come una disfatta del singolo individuo, piuttosto che come un fallimento del sistema. Quest’idea è un agente patogeno pericolosissimo che meriterebbe riflessioni quotidiane, perché corrode nel profondo la dignità delle persone. Sono persone che rifuggono gli sguardi, che in modo concitato giustificano il loro accesso presso il nostro segretariato, che sottolineano come i loro figli non abbiano mai frequentato “questi laboratori”. Si tratta di difficoltà e di vissuti che accomunano italiani e stranieri: commercianti, liberi professionisti, dipendenti di piccole attività…

Queste persone si rivolgono a noi, oggi, condividendo difficoltà e solidarietà con i nostri amici adulti di sempre: il sottoproletariato di ogni nazionalità, etnia, religione. Quello che vive spesso di attività sì informali, ma certamente non criminali: sono gli “svuota cantine”, i “tuttofare”, gli “stracciaroli” e i “ferrivecchi” che da sempre abitano le borgate romane. E che oggi rintracciamo soprattutto, ma non solo, tra stranieri e rom. È con loro, con i nostri amici di sempre e con quelli nuovi, che proviamo tutti i giorni a opporci ai pensieri tossici che ci vengono proposti. Quelli del “volere è potere”, quelli che svalutano l’importanza delle condizioni strutturali, quelli che fanno delle difficoltà una colpa, quelli che ignorano il senso più profondo del prezioso e lungimirante articolo III della nostra Costituzione, che vogliamo ricordare:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana […].

Il “pieno sviluppo” di tutte le persone è un’ambizione immensa, forse impossibile. Eppure, è una sfida alla quale non possiamo rinunciare, e che dobbiamo combattere. Tutti insieme.