bandiera rom

In questi quattro mesi, anche diversi rom sono giunti presso il nostro Centro interculturale territoriale previsto dal progetto “Giocare, imparare, crescere”, realizzato con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia.

Identifichiamo come appartenenti a questa etnia soltanto le persone che ne rispecchiano l’immagine stereotipata: gonne lunghe, denti d’oro… pensiamo che abitino nei cosiddetti “campi” in virtù di loro motivazioni culturali, ignorando spesso che quegli spazi sono un’invenzione della nostra società, la quale ogni anno spende un’infinità di denaro pubblico per mantenere in vita tali “baraccopoli”. Baraccopoli molto simili ai “borghetti” in cui hanno abitato, fino agli anni Ottanta, persone italianissime (provenienti dalla Ciociaria, dal Meridione ecc.), la cui realtà è stata  magistralmente descritta da studiosi e artisti come Ferrarotti, Pasolini, Scola.  Spesso ignoriamo che la maggior parte dei rom che vive nei “campi” vi è giunta perché in fuga dalla guerra, quella scoppiata agli inizi degli anni Novanta nei territori dell’Ex Jugoslavia.

Non fu, quindi, una questione di nomadismo, ma di sopravvivenza. Oppure si tratta di persone originarie dell’attuale Romania, un’area presso cui gli “zingari” (termine assolutamente dispregiativo!) hanno subito anche la schiavitù. È proprio così: nei principati rumeni della Valacchia e della Moldavia (e in misura minore in Transilvania), dalla seconda metà del Trecento fino al 1855/1856, queste persone sono state vendute, acquistate, possedute e uccise. Hanno poi subito l’olocausto, insieme agli ebrei e alle altre “categorie” perseguitate dai nazisti: si stima che abbiano perso la vita, in quegli anni, almeno 500.000 rom. L’antiziganismo è una forma di razzismo ancora troppo diffusa, la respiriamo da sempre, attribuendo alla “cultura rom” la responsabilità dei comportamenti devianti dei singoli. Singoli individui che talora delinquono, certamente, commettendo spesso quei “reati della povertà” (scippi, furti…) tipici del sottoproletariato urbano, a prescindere dalle diverse culture di riferimento. I rom, insomma, sono diversi.

Ma sono anche, e soprattutto, uguali. Uguali a qualsiasi altro essere umano che, in base al contesto sociale in cui cresce, si adatta. Tra loro, una minoranza vive nei “campi”, mentre la maggior parte vive tra noi, spesso costretta a celare la propria identità etnica per la paura di subire discriminazioni.

Abbiamo conosciuto tanti “zingari” delle periferie romane, quelli “brutti, sporchi e cattivi”. Ma abbiamo anche intercettato storie di rom che ce l’hanno fatta e che ce la stanno facendo. Sono studenti universitari, ricercatori, educatori, stilisti e musicisti che condividono un obiettivo: quello di far sì che i loro coetanei che vivono ancora nei “campi” possano cominciare a immaginare la possibilità di un destino diverso.

Chiacchierando con una nostra ospite rom, abbiamo sorriso di fronte alla sua breve rima, che ci ha riempito d'orgoglio:

La rosa è rossa
un fiore delicato
chi scorda "Il Fiore del Deserto"
fa un vero peccato
Grazie a te, piccola grande ragazza!

Ps. nella foto, la bandiera rom, che gli attivisti disegnarono ormai tanti anni fa.